Archivio per ottobre, 2019

Il Dj leggenda dell’elettronica si racconta: dagli esordi fino ai palchi mondiali, passando dal suo rapporto con la tecnologia fino alla sua nuova app, con cui tutti potranno salire con lui sul palco e conoscere il volto umano del suono nato a Detroit

What is a dj if he can’t scratch?, domandava Egyptian Lover nel 1984. Erano anni in cui la consolle era una questione di tecnica, vinili e orecchio teso ai turntables. Anni in cui lo scratch, appunto, diventava rivendicazione stilistica ideale dell’hip hop davanti all’avanzata di una nuova idea, secondo cui era meglio attraversare la notte con Rythm Is Rythm o Model 500 che con la Sugarhill Gang; anni costruiti da pionieri di una rivoluzione impensabile e bifronte, perché se la techno risuonava nelle warehouse abbandonate, condizione necessaria era l’arrivo sul mercato di synth e drum machine accessibili a tutti.

Trentacinque anni dopo, la techno è – insieme alla Ford – il prodotto più esportato del Michigan, mentre le Digital Audio Workstation, l’automazione imperante e le consolle-astronave hanno trascinato il ruolo del dj nuovamente alla domanda fondativa: what is a dj? – mettendo da parte lo scratch, oggi facilmente riproducibile da effetti digitali e controller. Che senso ha, infatti, il ruolo del selector oggi, quando programmi elementari di intelligenza artificiale potrebbero mettere in piedi set potenzialmente infiniti? Tanto, basta una cassa dritta e “su le mani”, no?

«Molti credono che fare il dj significhi starsene su un palco e mettere in sync automatico la musica che le persone vogliono, alzando il pugno al cielo durante il drop, ma non è così», risponde Richie Hawtin con il suo perfetto accento britannico. Alfiere della techno fin dai suoi primi battiti, era poco più che adolescente quando dalla sua Windsor – cittadina canadese in cui a nove anni era emigrato insieme alla famiglia – attraversava il fiume che lo separava da Detroit, per andare a lezione direttamente dai suoi beniamini.

«Ero un ragazzino timido e appassionato di computer, amavo la musica ma non avrei mai potuto suonare in una band. La techno era per me un modo di comunicare standomene da solo davanti a un computer o al buio in un angolo a mettere i dischi. Quando ho iniziato non avrei mai immaginato che 30 anni dopo mi sarei trovato a suonare davanti a migliaia di persone». Infatti, dal nerd che si nascondeva dietro l’acronimo F.U.S.E, passando per l’oscurità di Plastikman o dalla sua label Plus 8, fino ai palchi mastodontici di Ibiza o ai saloni del Tresor di Berlino – sua nuova casa dal 2003 –, Hawtin ha incarnato la techno in ogni sua sfumatura fino a diventarne oggi il simbolo più conosciuto.

Un dj superstar che ha puntellato la propria carriera accompagnando la ricerca sonora con quella tecnologica, dentro un cerchio che dall’amore incondizionato per la macchina lo ha portato a CLOSE, il live con cui Hawtin ha voluto riportare il suo mestiere al suo lato più umano. «Durante questi concerti la mia performance sul palco è seguita da decine di telecamere con cui viene ripreso ogni mio gesto, il modo in cui interagisco con le macchine che mi porto sul palco. Sugli schermi il pubblico può finalmente vedere che dietro i computer e la tecnologia c’è l’imprevedibilità di un essere umano». Human after all, direbbero i Daft Punk del suo progetto, ora trasformato in un album dal vivo, CLOSE COMBINED (GLASGOW, LONDON, TOKYO – live), e in una app in prossima uscita, CLOSER, con cui chiunque potrà ‘trasformarsi’ in Richie Hawtin dal proprio cellulare, modificando e miscelando tra loro i suoni e i visual di CLOSE, rispondendo una volta per tutte alla domanda: what is a dj?

Richie, come nasce l’idea della app CLOSER?
È un’idea che mi porto avanti dalla fine degli anni ’90, quando pubblicai la serie di mix album DE 9 (Decks, EFX & 909). Avevo creato quei lavori come si trattasse di un dj set, ma realizzato in studio. Da quel momento in poi ho sempre cercato di realizzare una versione live di DE 9, ovvero un lavoro che raccogliesse le mie esibizioni dal vivo. Un semplice disco, però, non avrebbe mai potuto trasmettere le stesse sensazioni. Non solo avrebbe trascurato la parte visual, ma non avrebbe mai potuto trasmettere alle persone ciò che realmente faccio durante uno show. Avevo quest’idea, ma non esisteva la tecnologia per realizzarla.Fino al 2017, quando sei partito con gli show di CLOSE.
Ci sono voluti anni perché questa idea che avevo concepito trovasse il giusto sbocco in un progetto e, soprattutto, la tecnologia giusta per supportarla. Servivano computer in grado di elaborare e combinare tra loro centinaia di file audio e video. Il momento perfetto è arrivato con i miei CLOSE. Con questi giganteschi live techno, in cui tutto viene ripreso e trasmesso in diretta sugli schermi, ho capito che potevo realizzare la mia idea.

Idea che hai poi deciso di trasformare nel album live CLOSE COMBINED e, soprattutto, in una app interattiva, CLOSER, con cui le persone possono mixare tra loro le tue performance, come un dj.
Esattamente. Non volevo pubblicare un semplice film-concerto, in cui lo spettatore sta seduto davanti a uno schermo a guardare quello che faccio, desideravo creare un’esperienza superiore, portando il pubblico direttamente sul palco insieme a me, ed è esattamente quello che fa CLOSER. Con questa app non solo si possono cambiare le inquadrature della videocamera modificando il punto di vista, ma si può selezionare la singola macchina per sentire effettivamente quello che faccio con le drum machine, come uso i synth o il suono che esce dai deck. Quando ti trovi sul dancefloor hai sempre a che fare con il risultato finale, non sai mai effettivamente quello che sto facendo, quanti brani sto mixando tra loro. Con questa app è come se ti trovassi sulla mia spalla, puoi decostruire la performance e sbirciare dentro il mio stile di live, che è piuttosto unico.

Spesso, infatti, le persone non hanno idea di cosa significhi veramente fare il dj…
Vorrei riuscire a trasmettere il significato più profondo di quella è realmente la mia professione. Innanzitutto il dj è una persona che seleziona musica per un pubblico, ma se andiamo più in profondità, verso il lato più creativo della questione, fare il dj significa mettere insieme più dischi alla volta e dar vita a qualcosa che prima non esisteva, qualcosa che esisterà solo in quel determinato momento e che difficilmente si replicherà in quella determinata forma. Ciò che faccio consiste nel realizzare qualcosa che prima era inimmaginabile, facendolo sempre in maniera diversa. Non sopporto quei Dj che suonano sempre gli stessi brani, ogni serata, quello può farlo anche una playlist o un computer, il mio lavoro è completamente diverso.

Facci un esempio
In ogni mia serata cerco di improvvisare, di scegliere sul momento quali dischi mixare tra loro, se aggiungerci dal vivo la drum machine, se campionare alcune parti da suonare insieme ai sintetizzatori che mi porto sul palco. Per certi versi credo che il live di un Dj sia più ‘live’ anche rispetto a una band, perché una band deve attenersi a una scaletta e suonare sempre gli stessi brani, eseguiti sempre alla stessa maniera in ogni concerto. Fare il Dj, invece, significa portare il pubblico dentro un viaggio sonoro, un viaggio ogni notte diverso: questa è sempre stata la mia missione.Sembra che tu voglia riportare l’attenzione sul lato umano della musica elettronica, un genere da molti considerato ‘automatizzato’ dai computer.
Questa è l’esatta ragione per cui ho ideato CLOSE prima e CLOSER poi. Quando il pubblico vede un Dj, nascosto dietro una consolle o dietro le drum machine, spesso non capisce quello che realmente sta succedendo, anzi, molti credono che tutto lo show sia pre-registrato. Quando, invece, vedono qualcuno che suona una chitarra o che colpisce una batteria, in quel momento associano il gesto a qualcosa che già conoscono, ovvero il collegamento tra il suono prodotto e il movimento di un corpo. Con CLOSE ho voluto riportare al centro della scena proprio questo discorso, mettere i miei gesti e miei movimenti sugli schermi, in modo che tutti possano vedere il volto umano della techno. Credo che sia proprio l’interazione tra l’umano e la macchina ciò che crea la magia, la stessa magia che rende eccitante la musica elettronica: scoprire fino a che punto può spingersi il nostro rapporto umano con le macchine.

Una magia che ti guida fin dall’inizio, quando da ragazzino hai scoperto che si poteva creare musica utilizzando soltanto un computer. È stata questa scoperta, della potenzialità della macchina, a spingerti verso la musica? Oppure, al contrario, è stata la volontà di creare musica che ti ha portato ad esplorare le capacità della macchina?
È molto difficile dare una risposta a questa domanda, perché sono cresciuto in una famiglia in cui sia la musica che la tecnologia avevano un ruolo centrale. Mio padre era un fanatico della tecnologia, acquistava hi-fi e computer, li smontava e li ricostruiva, cercando di migliorarli tutte le volte. Mentre lo faceva, ascoltava i Pink Floyd, i Tangerine Dream o i Kraftwerk. Per questa ragione musica e tecnologia per me hanno un rapporto intimo tra loro. A volte credo che sia stata la passione per la musica a spingermi nello studio della tecnologia, altre volte, al contrario, penso che sia stato il mio amore per la tecnologia a ispirare la musica che faccio, perché spesso è la scoperta di una nuova macchina o di un nuovo software a far scattare l’idea per sviluppare il suono in una direzione prima inconcepibile. Mi ha sempre affascinato è la possibilità di creare un’esperienza umana – come lo è creare o ascoltare musica – attraverso i circuiti di un sintetizzatore o di un computer.

Tu stesso, d’altronde, hai contribuito a sviluppare nuove tecnologie legate alla musica, di cui CLOSER è solo l’ultimo esempio. Ti senti un pioniere in questo senso?
Non credo pioniere sia la parola adatta, credo di essere più simile a uno scienziato. Come dicevo, l’idea per CLOSER è nata 15 anni fa, quando ancora non esistevano software potenti come quelli attuali. Quella stessa idea mi ha portato a lavorare insieme a persone in grado di concretizzare un progetto nato dalla mia creatività. Un chitarrista collabora con l’azienda per sviluppare chitarre migliori, e lo stesso faccio io. Nel mio caso lo strumento è la tecnologia e, di conseguenza, l’innovazione. Il lato che più amo del mio lavoro è proprio il contributo che, attraverso le mie esigenze creative, riesco a dare alla ricerca sulle nuove tecnologie. Spingere la curiosità oltre ciò che attualmente esiste, partecipare all’innovazione tecnologica: tutto questo ha sempre fatto parte di me, fin da quando ero un ragazzino introverso appassionato di computer. D’altronde, poi, cos’è la techno? La stessa parola techno viene da tecnologia, la techno è la musica guidata dal futuro.

Le prossime date di CLOSE saranno al Sónar Mexico il 5 ottobre, all’ADE di Amsterdam insieme a Modeselektor e SOPHIE il 16 ottobre e il 23 novembre al Palladium di Los Angeles.

Jeff Mills sta per pubblicare un interessantissimo triplo CD, “Sight, Sound and Space”, sulla sua etichetta Axis. 

Due mesi fa vi parlammo del nuovo, ennesimo progetto di Jeff MillsSight, Sound and Space“, in uscita proprio domani, 4 ottobre, su Axis Records. Oggi vi riportiamo l’intervista integrale diffusa dal suo ufficio stampa e rilasciata a Parkett in esclusiva per l’Italia, in cui Jeff Mills si apre a Lee Shields riguardo al suo nuovo progetto, in cui esplora l’animo umano, i sensi e l’annoso rapporto uomo-musica declinato in termini di vista, suono e Spazio. Elementi che hanno sempre caratterizzato la personalità artistica del leggendario artista techno.

Cosa ti ha ispirato a inserire queste tracce in un nuovo album?

È stato l’aspetto del tempo e dello spazio in questa era a provocare l’idea del Director’s Cut. Guardare indietro ai lavori passati col fine di riesaminare e, in certi casi, modificare e migliorare.

Perché l’album è stato diviso in tre parti e qual è stato l’impeto nel decidere le tre sezioni?

Queste tre materie, vista, udito e ciò che ci circonda, sono le materie verso cui mi sono maggiormente diretto negli ultimi 25 anni. È stato un modo per categorizzare e appropriarsi delle tracce.

Lo spazio è stato prevalente in una vasta parte del tuo lavoro, perché ha un simile significato per te? Hai citato lo sci-fi come un tuo interesse dalla gioventù; perché è ancora così forte ad oggi?

Immagino che lo Spazio e la nostra posizione in esso sarebbero stati di grande interesse per chiunque. Credo che il mio interesse sia più normale che anormale e sono grato per l’opportunità di usare la musica per esprimere come mi sento al riguardo. La science fiction è un genere comune nello storytelling e una buona parte di esso è basato su come ci sentiamo o come ci immagineremmo in determinate situazioni. Immagino che i miei longevi interesse dipendano dal fatto che sono intrigato da dove l’umanità è diretta e che avventure ci aspettano.

Cosa puoi dire sia stato esplorato del tema spaziale in questo progetto che non è stato esplorato prima, o come si sviluppa la storia dello Spazio per Jeff Mills?

Relazionarsi alle cose attraverso il contesto può essere un elemento molto importante nello storytelling e un aspetto che connette le persone in modi molto personali. Ciò che può sembrare unico e inedito è connettere gli album e le traccce di questo progetto a certi eventi mondiali – alcuni eventi che la maggior parte di noi ha vissuto e sperimentato. Ricordare certi tempi, ricordare una certa traccia può portare fuori ricordi di quell’era. È importante perché sono ricordi che modellano il nostro giudizio, razionalizzano la nostra comprensione e posizione e, ovviamente, modellano la nostra visione del futuro.

È perché comprende tracce dal tuo back catalogue che questo è lo sviluppo del concetto di Spazio per te, tracciando una storia che è stata la principale componente del tuo lavoro?

Scoprire cosa c’è nello Spazio è la nostra miglior sfida. Scoprire e imparare chi e cosa siamo realmente (lo spazio profondo) sarebbe un’altra sfida incredibile. Non riesco a immaginare altre materie più importanti di queste.

La vista è un concetto che hai approfondito precedentemente e che hai persino messo in musica in classici film. Qual è la motivazione nel produrre tracce e comporre per questi progetti?

La motivazione è iniziata come un modo per portare più attenzione sulla musica elettronica, ma nel corso del tempo quell’obiettivo è stato raggiunto. È normalizzato. Ora sto trovando modi unici per modificare ciò che può essere il concetto di un cine-mix. Ho delle idee per far sì che i film sia molto di più di guardare e ascoltare. Situazioni in cui gli spettatori diventano partecipi nella storia. Vedono se stessi come personaggi. La motivazione è quella di rendere la storie più credibile al punto che lo spettatore non possa più distinguere tra storia e realtà. 

Cosa significa la vista nella techno?

Questa è una domanda soggettiva, ma suppongo che per molte persone significhi essere in grado di vedere qualcuno più chiaramente attraverso questa musica. Quando la musica è impattante, tocca certe parti dell’animo umano. Più questo accade, più diventiamo una specie migliore. Siamo meno confusi, spiritualmente parlando.

Che impatto ha avuto su questo album e sul tuo lavoro in generale aver sonorizzato film come “Woman In The Moon”?

“Woman In The Moon” di Fritz Lang fu una vera sfida. Una lunga storia, quasi tre ore. Separai il film in tre parti e composi la musica in più di un anno, creando circa 200 bozze di tracce. Credo che nella musica più uno spende tempo a creare, più uno impara cosa fare e non fare! Si migliora a sapere cosa funziona. Credo che questa colonna sonora mostri come mi sono evoluto nel tempo.

Il suono, ovviamente, è un fenomeno critico per tutti i musicisti e gli artisti. È il fulcro del tuo lavoro. Com’è stato progettato il suono in questo progetto?

Sarebbe bello che tutti sentissero tutto allo stesso modo, questo sarebbe un sogno per tutti i musicisti, ma come ognuno sente le cose può variare molto. Sapendolo dalla mia lunga carriera nella musica, ho imparato nel tempo che ci sono certi modi che possono allettare meglio le orecchie e le menti delle persone e questi ruotano attorno all’aspetto dell’equilibrio spaziale e alle percezioni uditive. Le tracce in questo album sono buoni esempi di come usassi queste tecniche negli anni.

Per te il suono è del tutto basato sulla percezione?

Non del tutto, ma è un elemento vitale nel processo. Anche sapere qualcosa riguardo al carattere del tuo ascoltatore tipo è importante. Comprendere “cosa significa cosa” è la cosa più importante.

Techno e musica elettronica sono il futuro dell’esplorazione sonora? Al riguardo, sono anche il futuro dell’esplorazione dello spazio? C’è una “condizione superiore” da raggiungere attraverso questo media?

Credo che non abbiamo ancora raggiunto quel punto nella musica e nel suono. Credo anche che techno e musica elettronica non siano mai stati molto facili da capire. Siccome il genere è molto libero e rimane così, è difficile afferrare pienamente dove possano essere i suoi confini (se ce en sono). Vedo questa strana situazione come un segno del futuro. La techno è una navicella spaziale con nessuno che la guida. Il genere fluttua senza meta piuttosto che viaggiare in una direzione particolare. Secondo me questo è il suo aspetto più forte.

Interview and text by Lee Shields 

Tracklist Jeff Mills – “Sight, Sound and Space”

CD 1: SIGHT
Perfecture
Deckard
Le Mer Et C’est Un Caractere
Homing Device
The Never Ending Study
The Drive Home
Parallelism In Fate
Devices
Transformation B (Rotwang’s Revenge)
Sleepy Time
Multi-Dimensional Freedom
Descending Eiffel Stairs

CD 2: SOUND
The Hunter
The Bells
4Art
The 25th Hour
Growth
Spiral Galaxy
Microbe
Jade
Where The Shadows Have Motives
Flying Machine
Compression Release
Into The Body
The Resolution
Spiral Therapy

CD 3: SPACE
Introduction Phase 1-3
Mercury (Residue Mix)
Unreleased 002
The Believers
The Industry of Dreams
Stabilizing The Spin
G-Star
Planet X
The Worker’s Party
Daphnis (Keeler’s Gap)
Outer Space
Unreleased 005
Self-Portrait
Aitken Basin
Deadly Rays (Of A Hot White Sun)
Medians


ENGLISH VERSION

What inspired you to compile these tracks into a new album?

It was the aspect of time and in this era that provoke the idea of The Director’s Cut. Looking back to past works in order to re-examine and in cases, to modify and enhance.

Why was the album split into three parts, and what was the impetus in deciding the three sections?

These three subjects: seeing, hearing and one’s surrounding are the subjects that most of my direction has been for the past 25 years. It was a way to appropriate and categorize the tracks in terms of their purpose.

Space has been prevalent at the forefront of a vast amount of your work, why does it hold such significance to you? You cited sci-fi as an interest of yours since your youth; why is it so strong till this day?

I would imagine that the subject of Space and our placements in it would be of great interest to anyone. I think that my interest is more normal than it is abnormal and I’m grateful for the opportunity to use music to express how I feel about this subject. Science Fiction is the common man’s genre of storytelling and a lot of it is based on how we feel or would imagine ourselves in such situations. I guess my long-standing interests is because I’m intrigued about where humanity is headed and what adventures lie ahead for us.

What can you say has been explored in the theme of space in this project that hasn’t before, or how it develops the story of space for Jeff Mills?

Relating to things through context can be a very important element in storytelling and an aspect that connects people in very personal ways. What might be unique and something that I’ve never did before was to connect the albums and tracks of this project to certain world events – ones that most of us have lived through and experienced. Remembering back to a certain time, remembering a certain track might bring out other memories of that era. This is important because it is memories that shape our judgment, rationalize our understanding and positions and of course, shapes our view of the future.

Is it that because it features tracks from your back catalogue that it is the development of space as a concept for you, tracking a story that has been the main component of your work throughout?

Discovering what is in Space is our greatest challenge. Discovering and learning about who and what we really are (the inner space) would be a close second! I can’t think of any other subjects that are more
important than these.

Sight is a concept you have delved through previously, and have even sounded some classic films. What is the motivation in producing tracks and composing scores for these projects?

The motivation started out as a way to bring more attention to Electronic Music, but over time, that objective had been achieved. It is normalized. Now, I’m finding unique ways to modify what the concept of a cine-mix could be. I have ideas of experiencing film to being much more than just watching and listening. Situations where the “would-be watcher” becomes a participant in the story. Seeing themselves as characters. The motivation is making the story more believable to the point the watcher can’t tell the difference anymore.

What does sight mean to techno?

That’s a subjective question, but I would assume to many people that it means being able to see ones self more clearly through this music. When the music is impactful, it touches a certain parts of people’s soul. The more this happens, the better a species we become. We are less confused (Spiritually speaking).

How has scoring films like Woman In The Moon affected this album and your work as a whole?

Fritz Lang’s “Woman In The Moon” was quite a challenge to score. A long story, almost 3 hours long. I separated the film into 3 parts and composed the music for it in just over one year, creating about 200 track sketches. I think in music, the more one spends time to create, the more one learns what and what not to do! One gets better at knowing what works. I think this score shows how I’ve progressed over time.

Sound, of course, is a critical phenomenon for all musicians and artists. It is the fulcrum of your work. How was sound projected in this project?

I wish everyone heard all things the same, this would be a dream to all musicians, but how we each hear things can greatly vary. Knowing this from my long career in music, I’ve learned over time that there are certain ways that can better entice people’s ears and minds and it revolves around the aspect of spatial balance and sound perceptions. The tracks in this album are good examples of how I used these
techniques over the years.

To you, is sound all about perception?

Not all, but it is a vital element in the process. Knowing a little something about your typical listener’s character is important too. Understanding “what means what” is the most important.

Finally, is techno and electronic music the future for exploring sound? For that matter, is it the future for exploring space; is there a higher state to be reached through the medium?

I believe we haven’t reached that point in music and sound yet. To another similar point, I also think that Techno and Electronic Music has never been very easy to understand either. Because the genre is so free and remains this way, it’s hard to fully grasp where boundaries (if there are any) might be. I see this strange situation as a sign of the future. Techno is a spacecraft with no one actually driving it. The genre floats along aimlessly rather than travel in any particular direction. In my view, this is its strongest asset.

Interview and text by Lee Shields