Archivio per aprile, 2022

L’uscita del remix degli Autechre di Bipp di SOPHIE ha riacceso brevemente il dibattito sul rapporto fra elettronica e funk, un rapporto complesso che si è alimentato negli anni fra incontri e distanziamenti, legati soprattutto a stereotipi di razza e cultura sulla fruizione tanto dell’elettronica che del funk.

Sembra infatti che questi due contenitori viaggino paralleli e siano connotati a livello razziale e culturale in modo netto, mentre negli anni hanno comunicato fra loro molto più di quanto si pensi. Il remix ha diviso gli amanti sia di SOPHIE che degli Autechre che si aspettavano qualcosa di più sperimentale, magari in continuità con la stesura deformante della voce e del beat dell’originale. Le cose però non sono andate così e il duo mancuniano ha neutralizzato il pitch alto usato nel pezzo originale sulla voce di SOPHIE restituendole la naturale bellezza e mettendone in risalto l’armonia su un beat electrofunk sbilenco a 104 BPM. Ne è venuta fuori una versione che una volta sarebbe stata chiamata ‘drumapella’ ovvero parte vocale più parte ritmica, solo che questa volta la parte ritmica era molto diversa dall’originale e diventava solo funzionale ad accompagnare la voce. Non sappiamo perché gli Autechre abbiano fatto il remix di questo specifico pezzo e le loro motivazioni. La Numbers, l’etichetta di Glasgow che aveva fatto uscire l’originale, aveva passato al duo a suo tempo tutti le parti separate dell’album chiedendo se fossero stati interessati ad un remix e loro, dopo anni e scusandosi per il ritardo, gli avevano mandato questa versione. Il comunicato ufficiale della Numbers non ha aiutato a placare le critiche, ma ha indubbiamente chiarito la genesi o perlomeno l’ispirazione del remix:

Sounding like Autechre paying tribute to some late 80’s influences – channeling an imagined transition point between NY electro and UK street soul. The pitched down SOPHIE vocal reconfigured into a wanna-be Latin Freestyle Natasha King, jiving over a deep slice of TR-606 funk technology

Alla Numbers, ed in particolare a Glasgow, sanno bene di cosa parlano in questo comunicato. La Scozia è stata da sempre una delle zone del Regno Unito dove c’è stato un grande rapporto fra funk ed elettronica. Basterebbe citare gli Endgames, proprio di Glasgow, che fin dal primo singolo, First-last-for everything, avevano riempito di giri di basso electrofunk la loro epica new wave, per poi arrivare con i singoli successivi come Waiting for another chance, Love cares e Desire, ad una soul wave accattivante tanto quanto la potenza delle loro linee di basso. Oppure basterebbe ricordare il lavoro anomalo dell’incredibile Jesse Rae che, dopo aver scritto nel 1982 la hit boogie funk Inside out per gli Odissey (quelli di Going back to my roots per capirci), ha collaborato con Bernie Worrell, storico tastierista dei Funkadelic, su geniali brani funk wave come Rusha o p-funk rock come The dog in me. Ma ovviamente non c’erano solo loro.

Tutto il Regno Unito ha subito per anni l’influenza della musica afroamericana: dal blues, al soul e al funk, generi che hanno ispirato tantissimi artisti britannici sin dagli anni ’60. Superfluo segnalare l’influenza della musica blues e soul su gruppi come i Rolling Stones, gli Yardbirds e tantissimi altri, ma le cose sono diventate interessanti con l’esplosione del funk verso la fine degli anni ’60 e delle sue successive ibridazioni con il soul e l’elettronica negli anni ’70 e ‘80. Tantissimi generi anche inaspettati, hanno avuto influenze funk, sia che si trattasse di punk o post punk (Clash, A Certain Ratio, Set The Tone, ecc.) che di new wave (ABC, Heaven 17, Kajagoogoo, Endgames, Blancmange, Haircut 100, i primi Spandau Ballet e tanti altri) o direttamente funk pop (Level 42, I-Level, Hi-Tension, Loose Ends, Junior, David Joseph, ecc.). Tutto questo ha creato la base per un approccio naturale verso certi suoni e modalità compositive che poi sono state a loro volta le fondamenta su cui è stata costruita l’invasione di house e techno nella seconda metà degli anni ’80 in Inghilterra che è stata il vero avamposto europeo di Chicago e Detroit.

Non dimentichiamo infatti che tracce come Love can’t turn around di Farley Jackmaster Funk (dietro cui c’era anche Jesse Saunders, autore del primo brano house della storia ovvero On and on del 1983, debitore a sua volta anche dell’Italo dance nostrana) e Big fun degli Inner City entrarono nella Top Ten UK, non furono quindi tracce marginali. Un’affermazione così grande, con annessa esplosione del fenomeno rave, ha radici sociali legate nella depressione del proletariato nell’era post Thatcher, ma anche delle solide basi musicali che aveva nel tempo abituato i ragazzi di quegli anni ad accettare a braccia aperte queste sonorità. Ma facciamo un passo indietro agli inizi degli anni ’80 e spostiamoci in USA per capire da dove vengono questi suoni e queste idee.

La miccia che ha dato il via alla rivoluzione della musica popolare moderna è sicuramente stata la maggiore possibilità di accedere a strumentazione musicale elettronica a basso costo avvenuta grazie alle invenzioni della Roland, Korg, Linn, Prophet e altre industrie di strumenti musicali agli inizi degli anni ‘80. Negli USA questo è stato recepito soprattutto dalla scena funk e tantissimi gruppi si sono lentamente convertiti ad un sound più elettronico. Inizialmente si trattava soprattutto di synth, anche sull’onda dell’apertura a questi suoni da parte di artisti rispettati come Herbie Hancock, Stevie Wonder, Miles Davis e gruppi come Weather Report. Il jazz, con la voglia di sperimentazione insita nel suo linguaggio compositivo, aveva accettato l’elettronica, soprattutto nelle tastiere, ma il funk riuscì a codificare queste scelte in modo più diretto per sdoganarle ad un pubblico più vasto.

Successivamente le linee di basso, fondamentali nel funk, vennero accompagnate, se non sostituite, da synth bass di varia origine (soprattutto Moog e Roland), conferendo al suono funk quel senso di futuro che era la grande illusione degli anni ’80 pieni di videogiochi, calcolatrici portatili e i primi home computer

Già dalla fine degli anni ’70, gruppi come Parliament Funkadelic, Sly Stone, Cameo, Bar-Kays, Trouble Funk, Rick James, Zapp, Earth Wind & Fire e Prince avevano iniziato a sostituire i Fender Rhodes, i clavinet o gli Hammond con Yamaha DX7, Roland e Prophet. Successivamente le linee di basso, fondamentali nel funk, vennero accompagnate, se non sostituite, da synth bass di varia origine (soprattutto Moog e Roland), conferendo al suono funk quel senso di futuro che era la grande illusione degli anni ’80 pieni di videogiochi, calcolatrici portatili e i primi home computer. Il futuro entrava nelle nostre case per cui non poteva non farlo anche negli studi di registrazione. Uno dei maestri di questa rivoluzione sonora fu Bernie Worrell, tastierista storico dei Parliament Funkadelic, che fece da subito un massiccio uso di sintetizzatori nelle sue composizioni, ma lentamente altri tastieristi iniziarono a seguirlo aggiungendo novità e dettagli fondamentali al genere come Roger Troutman dei Zapp, Larry Dunn degli Earth, Wind & Fire e Matt Fink per Prince, solo per citare i più famosi.

Questi nuovi approcci sonori, dettati e accompagnati dall’evoluzione del progresso tecnologico in campo musicale, si sviluppavano anche in un periodo di profondo cambiamento della scena dei club USA. Gli inizi di sano edonismo spirituale con il Loft di David Mancuso si erano successivamente evoluti in una frenesia liberatoria dei sensi, soprattutto delle minoranze, che aveva necessità di ritmi e musiche che potessero accompagnare questi cambiamenti. La ritmica della disco divenne la chiave di volta per questa evoluzione e fra il 1974 ed il 1977 fu il marchio di fabbrica del genere con tracce immortali come Love is the message o TSOP degli MFSB, ma anche con pezzi più mainstream come Kung Fu Fighting, YMCA e tantissimi altri (anche Dolly Parton fece un album disco…).

In breve la disco venne codificata, così come anche le istanze di fratellanza e libertà sessuale dei primi club annegate nel narcisismo elitario alla Studio 54, ma il seme del clubbing era gettato e si iniziò a sviluppare una nuova scena musicale con nuovi club dove essere suonata, ascoltata e ballata come il Danceteria, il Roxy o il Funhouse, sempre a New York. In questa rinnovata scena, il synth funk degli inizi degli anni ’80 divenne un riferimento assieme alla nuova musica proveniente dall’Europa come New Wave, Italo e la neonata scena Hip Hop. Queste musiche si incontrarono sul dancefloor dando vita ad un melting pot musicale unico che fece del periodo fra il 1981 ed il 1984 uno dei laboratori di futuro sonoro più importanti per la musica che sarebbe venuta dopo. I ritmi con la cassa in quattro della disco vennero affiancati sempre più da versioni elettroniche sincopate del rhythm of the one funk ed ibridate con visioni più aperte e sperimentali provenienti da altri generi. I gruppi di riferimento citati sopra divennero sempre più famosi e la loro estetica divenne piena di colori e sensualità entrando nelle classifiche, grazie a major pronte ad investire su artisti che erano ormai vere icone pop come Earth, Wind & Fire e Prince.

La musica disco, nella sua accezione più generale, si era affermata come genere che poteva vendere milioni di copie e molte major (RCA, CBS e Sony tramite la Epic su tutte) investirono in promozione e produzioni usando i classici canali mainstream media (soprattutto radio), ma la prima scena di fine anni ’70 aveva anche creato una struttura di dj point e dj service che resistette al declino del genere e aiutò a sviluppare tantissime etichette indipendenti come Salsoul, West End, Mirage o Prelude. Forti dell’appoggio dei dj del tempo, queste divennero il riferimento per la rinnovata scena dance mondiale che si stava delineando agli inizi degli anni ’80 con artisti che misero al centro proprio questa commistione fra funk ed elettronica come D-Train, Stone, Aurra, Kashif, Evelyne Champagne King, Sharon Redd, René & Angela, The System, Midnight Star, Shock e tantissimi altri. Questi si affiancavano a vecchi gruppi funk come Funkadelic, Bar-Kays, Kleeer, Cameo e Zapp, che avevano sposato in pieno questo cambiamento e assieme erano ormai divenuti rappresentanti di una nuova evoluzione del funk che molti ora chiamano Boogie (o Boogie Funk), ma che è invece puro funk elettronico ovvero Electrofunk.

Il termine non venne coniato da uno specifico gruppo di artisti, ma se ne iniziò a parlare perché apparve in almeno un paio di pezzi importanti di quel periodo come On a journey (I sing the Funk Electric) degli Electric Funk ed Electrophonic Phunk degli Shock che furono rispettivamente brani proto-house il primo e post P-Funk il secondo. Il cerchio si chiuse però nel maggio del 1982, con la pubblicazione di Planet Rock di Afrika Bambaataa & The Soulsonic Force, in cui vennero mescolati assieme il rap, i Kraftwerk di Numbers e Trans Europe Express e una buona dose di funk. Mai prima di quel momento, il rap si era legato a ritmi così veloci ed elettronici. L’intuizione venne al navigato produttore disco funk di Boston, Arthur Baker e al genio delle tastiere John Robie che navigava fra wave e funk e che divennero la base produttiva perfetta per l’evoluzione dell’Hip Hop in qualcosa che prese poi una strada tutta sua: l’Electro.

Planet Rock si poggiava ritmicamente su una reinterpretazione del beat di Numbers dei Kraftwerk risuonato e riarrangiato con la sinuosa batteria elettronica della Roland TR-808 che rendeva il pezzo molto più dinamico e soprattutto poneva l’accento sulle frequenze più basse, una caratteristica che la batteria aveva grazie alla sintesi analogica con cui era costruita. Il beat di Planet Rock divenne uno standard immediato. La struttura sincopata del pezzo si fondeva perfettamente col riff di Trans Europe Express risuonato da John Robie e con il rap di Afrika Bambaataa & The Soulsonic Force che, per questo, entreranno nella storia della musica popolare moderna. Anche grazie ai loro costumi proto-afrofuturisti, il brano creò un immaginario che venne replicato istantaneamente da altri artisti della scena Hip Hop sia dal punto di vista musicale che da quello performativo.

Ad esempio nella breakdance, la parte performativa dell’Hip Hop, i breakers iniziarono ad usare basi electro per le loro battle definendo nuovi stili come il popping e l’electric boogaloo. Fra i primi che seguirono lo stile, formale ed estetico, dell’Electro ci furono Grandmaster Flash & The Furious Five con Scorpio e Melle Mel (rapper dei Furious Five) & Duke Bootee con Message II (Survival), ideale seguito del primo brano hip hop conscious di successo della storia ovvero The Message. Entrambe uscirono nel 1982 su Sugar Hill Records, storica label rap dove uscirono Sugar Hill Gang, Positive Force e West Street Mob, a dimostrazione che all’inizio questo genere venne recepito come fondamentalmente parte dell’Hip Hop.

A conferma di questo vi furono tantissimi altri artisti rap e non solo di New York a sfornare brani electro rap. In particolare la scena californiana fu molto attiva. I Twilight 22 di San Francisco ad esempio pubblicarono due hit electro come Electric Kingdom e Siberian nights su Vanguard, etichetta che, dopo aver stampato artisti come Buddy Guy e Joan Baez, fece uscire anche produzioni dance di vario tipo negli anni ‘80. Ma fu la scena di Los Angeles a sfornare artisti fondamentali per l’Electro contaminato con il rap. Sicuramente sono da citare le prime produzioni di Ice T con Chris The Glove Taylor & David Storrs, Reckless e Tebitan Jam o anche in solo con The coldest rap, prodotto da dei giovanissimi Jimmy Jam & Terry Lewis al tempo con i The Time; i World Class Wreckin Cru con un giovanissimo Dr. Dré e gli L.A. Dream Team che con Rockberry Jam e Calling on the Dream Team si ritagliarono una bella fetta di notorietà alla metà degli anni ’80.

Un discorso a parte merita Mik Lezan ovvero The Arabian Prince che su Rapsur fece uscire dal 1984 la sua produzione in bilico fra Electro e funk alla Prince che lo portò in seguito a collaborare con gli N.W.A. di Dr Dré e Ice Cube con pezzi incredibili come Panic Zone e con le JJ Fad con l’iconica Supersonic. E poi ovviamente va citato The Egyptian Lover. Greg Broussard, questo il suo vero nome, si formò con la crew Uncle Jamm’s Army e subito sviluppò un immaginario fatto di piramidi e atmosfere sexy che poi sarà la base del suo primo immortale singolo Egypt Egypt, seguito da Girls e poi dall’album On the Nile che ebbe un successo incredibile. Quello che fece l’artista losangelino fu soprattutto tornare alla matrice più elettronica dell’Electro scollegandola dal rap e contaminandola con il funk sensuale di Prince, con le visioni futuriste dei Kraftwerk e di molta new wave più onirica (sentire My house (on the Nile) per capire la trasversalità della sua produzione). Tutto questo sempre avendo chiaro il senso del groove e della predominanza del basso, rappresentato dai tom e dalla cassa della TR-808, sua vera compagna di viaggio fino ad oggi.

Sulla scia di Egyptian Lover altri artisti cercarono di creare brani electro puri senza necessariamente influenze hip hop o perlomeno tesi a sviluppare degli arrangiamenti che fossero più originali e che rappresentassero lo spirito di quegli anni e le possibilità offerte dalla strumentazione disponibile. Fra questi vanno sicuramente segnalati i Jonzun Crew, band della Florida dal look piratesco spaziale, un incrocio fra i Bar-Kays e i The Time in chiave elettronica. Brani come Pac Jam, We are The Jonzun Crew, Space is the place e la poco conosciuta Mechanism sono un’orgia di synth, funk elettronico e vocoder che non si era mai sentita prima.

Il gruppo era formato da Michael Jonzun (vero nome Michael Johnson) e suo fratello Maurice Starr (vero nome Larry Curtis Johnson) che fecero anche poi altri bellissimi brani electrofunk in solo come, rispettivamente, Burnin’ up e Super Rock (funk), una sorta di cover di Rock it di Herbie Hancock. Successivamente fecero fortuna diventando produttori di gruppi pop come New Edition e New Kids on the Block. Sulla stessa lunghezza d’onda seppure con venature più melodiche, ci furono i Newcleus di New York, che con due soli album Jam on revenge e Space is the place del 1984 e 1985 ridefinirono lo stile con elementi di puro soul elettronico come Automan, I’m not a robot e Destination Earth (1999) affiancati a brani più festaioli come Jam on revenge (The Wikki Wikki Song) e Jam on it.

La nascita del Freestyle è legata alle commistioni sonore di New York, città che riuniva diversi gruppi sociali ed etnie dando vita ad un clash di ritmi e melodie unico. Partendo dal beat di Planet Rock, tantissimi artisti iniziarono a usarlo come base pulsante per storie d’amore, tradimenti, rivincite e ricongiunzioni.

Sempre a New York non si può non citare Manuel Man Parrish, vero personaggio trasversale della scena di quegli anni, capace di fondere Hip Hop, Italo e High Energy e di regalare alla storia due brani Electro immortali come Hip Hop, Be Bop (Dont’t Stop) e Boogie Down (Bronx). Altro gruppo interessante furono sicuramente i Warp 9, trio newyorchese con a capo Milton Brown, ex-batterista degli Strikers, storico gruppo Prelude, prodotti da Richard Scher e Lotti Golden che già avevano scritto per i Strikers la hit Contagious. Golden fu una famosa cantante anni ’60 che nel corso della sua carriera, dopo alcune collaborazioni con Arthur Baker, si gettò nella nuova scena Electro realizzando con i Warp 9 un mix perfetto di soul, elettronica sci-fi e percussioni latine influenzate anche dalle sue esperienze produttive con un altro sotto genere dell’Electro che fu enorme in USA: il Freestyle.

La nascita del Freestyle è legata alle commistioni sonore di New York, città che riuniva diversi gruppi sociali ed etnie dando vita ad un clash di ritmi e melodie unico. Partendo dal beat di Planet Rock, tantissimi artisti iniziarono a usarlo come base pulsante per storie d’amore, tradimenti, rivincite e ricongiunzioni. Tutti gli artisti freestyle avevano questo altissimo impatto emotivo di ‘drama’ romantico e sensuale che lo fece diffondere in maniera incredibile fra la comunità italiana e latina statunitense. Fu in sostanza la versione italo-latina dell’Electrofunk e allargò certe sonorità elettroniche ad un pubblico più vasto per la presenza di cantati e testi. Il Freestyle fu anche un genere in cui le donne erano centrali con vere icone come Shannon, Tina B., Debbie Deb, Lisa Lisa, Sa-Fire, Joyce Sims, Nayobe, con qualche eccezione maschile come Stevie B, Hanson & Davis e Noel. Molto importante anche il lavoro produttivo di questo genere che, avendo molto spazio per le melodie, aveva nella figura del tastierista un vero perno produttivo.

Fra i tanti doveroso ricordare Robbie Kilgore che diede il suo contributo sull’album di Man Parrish, ma anche a vere e proprie hit mondiali come Let the music play e Give me tonight di Shannon, On the upside di Xena e Frantic situation degli Afrika Bambaataa & The Soulsonic Force assieme all’onnipresente in quel periodo, Arthur Baker. Altri geniali produttori storici della scena Freestyle sono stati sicuramente Albert Cabrera e Tony Moran che dal 1985 sono stati i veri produttori di riferimento di quel periodo, puntando moltissimo su versioni dub strumentali con un forte uso del cut up che fu la base di partenza di nuova versione di quel sound, meno cantato ed orientato alla nascente scena rave con produttori come Todd Terry, Frankie Bones, Joey Beltram, Mundo Muzique ed altri, molto spesso provenienti dall’area di Brooklyn.

La scena Freestyle iniziale era sicuramente legata alla scena Italo con cui, a livello melodico, si intrecciava molto anche grazie al successo in USA di pezzi come Spacer woman di Charlie (il vero grande pezzo Electro italiano), Cybernetic Love di Casco, Nonline degli I.M.S. (International Music System) e soprattutto l’intero bellissimo album dei Klein & MBO. Doveroso ricordare questi artisti pioneristici nostrani, soprattutto il compianto dj siciliano Salvatore “Casco” Cusato scomparso prematuramente nel 2011, i vicentini Giorgio Stefani e Maurizio Cavalieri ovvero Charlie e I.M.S. (Cavalieri assieme a Maurizio Sangineto era dietro la label Mr. Disc dove poi uscirono gruppi italo funk di grande successo come i Firefly) e Davide Piatto, vera mente dei Klein MBO, progetto attribuito spesso solo a Mario Boncaldo e Tony Carrasco con Rossana Casale alla voce.

Per misurare la diffusione e l’importanza di queste sonorità in USA bisognava soprattutto guardare alle radio locali che, grazie al circuito di club esistente e la voglia di ballare sbocciata nel periodo post disco di cui parlavamo prima, crebbero incredibilmente di importanza. Ad esempio la scena House di Chicago ha solide fondamenta in questo mix sonoro fra il 1982 ed il 1985 grazie al lavoro incredibile degli Hot Mix 5 un gruppo di Dj locali chiamati ad animare la sezione dance della radio WBMX. I dj erano Farley Funkin’ Keith, Mickey Oliver, Ralphi Rosario, Kenny Jason e Scott Silz, poi sostituito da Julian Jumpin Perez che venne a sua volta poi sostituito da Mario Diaz dopo e la loro trasmissione era seguitissima.

Il mix perfetto di Freestyle, Electro ed Italo delle loro selezioni era la migliore spiegazione di questa nascente voglia di crossover fra generi e pulsioni compositive tutte unite dall’elettronica. Praticamente tutti divennero poi grandi produttori della scena House che si affermò dal 1985 in poi con picchi produttivi soprattutto di Ralphi Rosario e Farley Keith che si sarebbe poi chiamato Farley Jackmaster Funk. La stessa cosa avvenne a Detroit con il leggendario Charles Johnson aka Electryfying Mojo che però scelse una strada più narrativa da speaker radiofonico puro con inserti di brani da film e testi epici che infiammarono la città per anni. Il suo programma The Midnight Funk Association aveva un seguito enorme fra tutte le ragazze ed i ragazzi della Motor City e la proposta musicale trasversale di Johnson, che passava dai Kraftwerk a Prince, da Kano ai Funkadelic passando per B 52’s e Gary Numan fu fondamentale per la nascita della scena Techno nel 1985.

Fra le hit della scena Freestyle c’era anche Freestyle Express, un pezzo di un gruppo della Florida che si chiamava anch’esso Freestyle e che, nel 1983 mise sulla mappa dell’Electro USA anche la città di Miami. Il brano, prodotto da Pretty Tony Butler, uscì su Music Specialist ed era piuttosto funk nell’intenzione, con una chitarra ed un ritornello funkadelico, ma la parte elettronica, con la canonica TR-808 ed un bel vocoder di contorno, creava questo nuovo ibrido Electro che era però diverso da quello di New York e Los Angeles. Nello stesso anno, sempre in Florida, James McCauley creò il progetto Osé su una label locale chiamata Round Bound e fece uscire Computer Funk, altro tassello fondamentale nella costruzione del sound Electro di Miami che lo stesso McCauley confermò sulla stessa label l’anno dopo creando l’alias Maggotron.

McCauley, assieme a MC Ade, Amos Larkins e Pretty Tony, saranno i veri padri della Bass music di Miami, denominata più iconicamente Miami Bass, e che avrà nei 2 Live Crew la loro band più famosa e scandalosa, censurata da tutte le radio e seguita addirittura dall’FBI. Altra band di riferimento per la scena di Miami, furono i Dynamix II, ovvero David Noller prima con Lon Alonzo, poi con Scott Weiser ed ora con il solo Noller ai comandi, che furono il ponte fra Miami e Detroit nella definizione di un sound monolitico che avesse il basso come riferimento, ma anche quella visionarietà kraftwerkiana che univa le due città. La scena di Miami si connotò però in generale come più scanzonata e legata alla scena rap locale fra sessismo spiccio e gangsta da quartiere, assimilando anche contaminazioni break che invece erano praticamente assenti dalla scena di New York e Los Angeles. In ogni caso la scena di Miami esplose dal 1985 in poi e produsse una quantità incredibile di album, nastri, bootleg e compilation, quasi tutti legati alla scena club (anche strip…) e degli street party locali con label dedicate come Pandisc, HOT Records e Skyywalker records, solo per citare le principali.

Quella delle etichette indipendenti fu la vera forza della scena Electro perché le rese economicamente forti e libere di produrre musica spesso veramente fuori da ogni convenzione mainstream pop. Il successo era cercato, anche con insistenza, ma c’era più la voglia di affermare un proprio suono e dettare le regole alle major. Rispetto alla scena Freestyle, che ebbe anche brani in classifica per la sua presenza di testi e cantanti chiaramente riconoscibili, la produzione Electro originaria di New York, Los Angeles e Miami si basava sul passaparola delle radio locali, delle feste di quartiere e della cultura di strada o al massimo in club trasversali capaci di proporre anche musica alternativa alla dance più pop che girava in quegli anni.

Fra le etichette che si affermarono in questo senso vanno segnalate sicuramente la Tommy Boy, la Streetwise, la Cutting, la NIA e la Techno Hop. La Tommy Boy venne fondata nel 1981 a New York da Tom Silverman e divenne subito la casa dell’Hip Hop più particolare. Il primo successo avvenne nel 1981 con Jazzy Sensation, nelle due versioni di Afrika Bambaataa & The Jazzy 5 e dei The Kryptic Krew (con Tina B alla voce), ma è con Planet Rock nel 1982 che avvenne l’esplosione che poi le permise di continuare a proporre rap e soprattutto Electro con gruppi come Jonzun Crew, Planet Patrol, G.L.O.B.E & Whiz Kid, Beatmasters e gli Information Society, gruppo new wave USA prodotto dai Latin Rascals nel 1986.

Con la Tommy Boy usciranno poi tutti pezzi di Afrika Bambaata & The Soulsonic Force dopo Planet Rock ovvero Renegades of Funk, Looking for the perfect beat e Frantic situation che li confermeranno come uno dei gruppi Electro rap più famosi nel mondo.

La Streetwise venne invece fondata, sempre a New York, da Arthur Baker nel 1982, dopo il successo di Planet Rock. La prima uscita fu una meravigliosa cover Electro di Soul Makossa dei Nairobi, un sinonimo dietro cui si celava lo stesso Baker e il geniale John Robie, con gli Awesome Four nella versione rap. Il singolo successivo fu un grandissimo successo internazionale dei Rockers Revenge ovvero Arthur Baker e Donnie Calvin, cantante di estrazione reggae, con un’altra cover, stavolta di Walking on Sunshine di Eddy Grant, che verrà bissata l’anno dopo dalla cover di The harder they come di un altro artista giamaicano, Jimmy Cliff.

I Rockers Revenge avranno il loro canto del cigno nel 1984 con il loro pezzo meno famoso, ma più significativo, Battle cry, vero inno alla breakdance con una struttura electrofunk latina ed un testo meravigliosi che ebbe spazio nel film hollywodiano sulla cultura Hip Hop Beat Street. Baker poi scoprirà gli inglesi Freeez di John Rocca che con I.O.U. sarà un’altra hit planetaria della label e che lo porterà anche a produrre, sempre su Streetwise, la storica band new wave New Order con Confusion. Il pezzo fu il primo vero ibrido electro wave di successo e avrà ripercussioni sonore importanti sulla scena inglese con gruppi come i Section 25 e la loro Looking from a hilltop o gli ABC di How to be a millionnaire. Da non dimenticare anche Dr. John e la sua Jet set e John Robie in solo come Slack che furono delle hit nel circuito Electro e uscirono sempre su Streetwise.

Sempre a New York ci fu anche la Cutting Records dei fratelli Aldo e Amado Marin. I due ebbero subito successo con la loro prima uscita nel 1983, Al Naafiysh (The Soul) di Hashim ovvero Gerald Jerry Calliste Jr. che diventò una hit mondiale con il suo giro di basso perentorio e l’intro con il vocoder It’s time!, usata come scratch da tantissimi dj e turntablist. Hashim fece altre due singoli molti belli, We’re rocking the planet e Primrose path, ma non ebbero il riscontro del primo singolo. La label si specializzò in questo sound e produsse pezzi Electro ed Electro rap molto importanti come The bucks stops here dei Fantasy Three e Crime of passion dei Soft Touch, sempre prodotti da Hashim, Come to rock degli Imperial Brothers e Journey to Cybotron e Let’s get brutal dei Nitro Deluxe.

Una delle cose importanti che fecero anche i fratelli Marin furono le connessioni con il Regno Unito che, come avevamo visto all’inizio, fu il vero ponte della musica USA in Europa e che sviluppò una solidissima scena Hip Hop. Il gancio in questo caso fu l’intraprendente e furbo Morgan Khan che con la sua label Street Sounds fece arrivare tutta questa musica grazie a delle compilation chiamate semplicemente Street Sounds Electro che raccoglievano tutti questi brani USA ed ebbero un successo enorme arrivando fino al volume dieci sdoganando di fatto l’Electro in Europa.

Fra le altre label presenti su queste compilation, spiccava anche la newyorkese NIA dei fratelli Aleem che iniziarono nel 1979 con produzioni funk disco per poi abbracciare interamente l’Electrofunk e l’Electro grazie all’apporto di Leroy Burgess per la parte più soul e il rapper Ronald Wayne Green alias Captain Rock con cui scrissero alcuni dei pezzi più significativi della scena Electrofunk ed Electro. Con Captain Rock fecero uscire tre anthem Electro rap come The return of Capt. Rock, Cosmic blast e Capt. Rock to the future shock che, anche grazie alle strumentali e le dub venivano suonate anche in altri circuiti fuori da quello strettamente Hip Hop. Con Burgess invece i due fratelli Aleem scrissero due brani immortali della scena club mondiale, Get Loose e Release yourself che furono il vero ponte fra il sound disco e la scena house più soul a venire e, non a caso, erano fra le colonne delle playlist di Larry Levan al Paradise Garage.

Passando invece alla West Coast, una label fondamentale fu la Macola, che fece da guida e distribuzione per altre label più piccole come la Rapsur dove usciva Arabian Prince, la Egyptian Empire di Egyptian Lover e la Kru-Kut di Alonzo Lonzo Williams dei World Class Wreckin’ Cru che con il loro primo album World Class mescolarono Electro e rap in puro stile Los Angeles. Un discorso a parte merita la Techno Hop, di Andre Manuel aka The Unknown Dj che fu una vera fucina di artisti Electro innovativi come Cli-N-Tel e la sua 2030 e The Mechanic (Dr. Dre) con la bellissima Sweat. Manuel e Alonzo Williams si unirono nella seconda metà degli anni ’80 per dare vita ad un’altra label cult come la Techno Kut Records dove usciì fra l’altro Mik Lezan aka The Arabian Prince, stavolta con lo pseudonimo Professor X, uno pseudonimo che fu fondamentale assiemte a The Unknown Dj per il ritorno dell’Electro negli anni ’90.

Manuel fra l’altro era originario di Detroit una città che aveva avuto negli stessi anni un rapporto con l’Electro molto speciale. Seguendo l’amore tanto per i Kraftwerk che per la new wave inglese più elettronica, Ultravox su tutti, l’ex-marine Rik Davies ed un giovane Juan Atkins decidono di fare musica assieme e con lo pseudonimo Cybotron infilano una serie di brani geniali come Alleys of your mind e Cosmic cars, una sorta di cover di Cars di Gary Numan, che diventano molto famosi nell’area della città grazie anche alla spinta del dj radiofonico Electryfing Mojo fra il 1981 ed il 1982. Dopo aver autoprodotto i primi singoli sulla loro label Deep Space, trovano una label che gli stampa il loro primo album Enter nel 1983. Si tratta della californiana Fantasy che ha nel catalogo ogni sorta di musica, dal jazz, al funk e al rock e che vede nel gruppo una interessante anomalia musicale.

I Cybotron sono infatti la prima vera band new wave afroamericana, ma per sdoganarli al mercato USA viene usato il loro pezzo più Electro, Clear, remixato ad hoc da Jose Animal Diaz di New York che lo rende molto più simile al sound vigente e ne decreta il successo planetario. Il gruppo si divide subito dopo l’album per divergenze creative e Juan Atkins darà via alla Metroplex nel 1985 che sarà poi la prima label Techno della storia, nonostante abbia alcune uscite Electro come Future, Night drive e Time space transmat come Model 500 alias di Atkins stesso e Technicolor di Channel One ovvero Doug Craig, cugino di Carl Craig. Questo perché, nella mente di Atkins, la parola Techno aveva un senso trasversale di futuro legato alle teorie dei ‘techno rebels’ del sociologo Alvin Toffler e al sound dei Kraftwerk, sua grande passione che, a loro volta, erano l’ispirazione della prima traccia Electro della storia ovvero Planet Rock.

In questo senso le tracce di Atkins non sono quindi ascrivibili alla scena Electro, ma a quella Techno per ammissione dell’artista stesso e anche l’affiliazione di Clear dei Cybotron alla scena Electro è più legata ad esigenze di marketing che di intenzioni che invece erano molto più legate alla creazione di un sound wave funk rock sperimentale. A Detroit c’erano anche altri artisti ai confini fra Electro e New Wave. I Nu-Sound II Crew fecero un paio di uscite sulla label Sound Wave Records, 1001 beats e The speed of light su quello stile, come anche Erik Travis aka Sound of Mind che fece anche lui due 12” molto famosi a Detroit e successivamente in Europa, Programming / This is my beat e Direct Drive. La scena di Detroit fu invece la vera culla della rinascita dell’Electro nel 1993 grazie al lavoro della 430th West prima e poi della etichetta dedicata a questo sound, la Direct Beat con artisti come Aux88 ovvero Keith Tucker e Tommy Hamilton (i veri alfieri del ritorno dell’Electro nel mondo), William BJ Smith aka Posatronix e Lamont Norwood aka Dj Dijital che mescolando il Miami Bass e le prime istanze Electro di Atkins diedero vita ad una variante dell’Electro chiamata Techno Bass. Lo stesso avvenne in parallelo con artisti come Dj Godfather, Dr De, Detroit in Effect e Dj Assault per altre diramazioni del genere come Ghettotech o Booty Bass, ma quello avverrà solo negli anni ’90.

Tornando alla scena europea, l’impatto delle compilation della Street Sound sugli amanti dell’Hip Hop fu enorme. Label come l’inglese Elite, dedita alla scena brit funk, e la tedesca Metrovynil si convertirono ai nuovi sound dando spazio rispettivamente a band come gli Hardrock Soul Movement oppure alle produzioni del geniaccio electrofunk John Davis aka Robotron. Questa scena si sviluppò in parallelo all’esplosione dell’Hip Hop verso la metà degli anni ’80 con band come Run DMC o Public Enemy, ma anche grazie alle sperimentazioni più elettroniche di produttori come Mantronix e Larry Smith per i Whodini, partite proprio da un uso libero e senza schemi della strumentazione elettronica a disposizione e avvenuto anche grazie ai primi produttori Electro sopra citati. La stessa libertà che diede vita a delle contaminazioni interessantissime fra Hip Hop, Electro, Wave, Jazz e musica etnica avvenuto soprattutto con due collettivi, quello della Celluloid che faceva capo a Bill Laswell ed i Material e quello della On-U Sound di Adrian Sherwood che grazie ai Tackhead, Mark Stewart e Gary Clail esplorarono confini sempre più lontani che avevano però come comune denominatore quella combinazione fra elettronica e funk gettata prima dall’Electrofunk e poi dall’Electro qualche anno prima.

La Celluloid, etichetta di origini francesi, trovò la sua patria proprio nella multietnica New York degli inizi degli anni ’80 da cui prese elementi Electro ed Hip Hop mescolandoli a No Wave, New Wave e musica etnica producendo artisti come Yello, Tuxedomoon, Alan Vega e soprattutto i Material, versione street delle idee zappiane di musica libera da schemi e gabbie sonore. Non fu un caso che fu proprio Bill Laswell con il suo fedele tastierista, Michael Beinhorn e la collaborazione di Grandmixer DST, a gestire la svolta elettronica di Herbie Hancock per la sua immortale Rock it, una delle grandi hit del 1983, seguita dal monumentale album Future Shock seguito l’anno dopo dall’altrettanto clamoroso Sound System. Lo stesse avvenne in Inghilterra con Adrian Sherwood che, dando spazio alla creatività della formidabile e futuristica macchina da guerra ritmica della Sugarhill Records ovvero Keith Le Blanc (batteria), Doug Wimbish (basso) e Skip McDonald (chitarra) con lo pseudonimo Tackhead, mise in piedi una label che dal Dub elettronico che la contraddistingueva, si fece portavoce di un approccio compositivo che metteva d’accordo jazzisti e b-boy con istanze politiche anche molto evidenti.

L’Electro aprì letteralmente uno squarcio nella visione della musica composta fino a quel momento e si inserì perfettamente in quell’estasi di positivismo tecnologico che rappresentavano quegli anni, ma, a conti fatti, è riuscita a superare anche la sconfitta di quell’ingenuità tecnologica diventando a volte agente provocatore ed a volte scintilla di nuovi slanci verso un futuro magari incerto, ma pur sempre da scrivere.

Nonostante le mille influenze che l’Electro diede a queste sonorità trasversali fu quasi sempre chiaro il confine fra Electro rap, più legato alla scena Hip Hop e che andò sempre più scemando nel tempo, ed Electro più pura, che invece nasceva dalla fusione delle idee dei Kraftwerk ed il funk elettronico afroamericano. Era chiaro soprattutto, e fu chiarissimo per tutti i produttori Electro dalla metà degli anni ’90 in poi, come questo genere era un mirabile punto di incontro culturale e sociale che accese la scintilla in tantissimi produttori in Europa, in USA e nel mondo dando idee sonore che poi furono la base per la definizione di stili oggi diffusissimi come trap e grime. Anche nella produzione più mainstream che sentiamo oggi, il sound della 808 e un certo minimalismo visionario Electro è la base di partenza di molti artisti, come anche la fusione fra elettronica e soul/funk che si manifestò fra il 1982 ed il 1984.

L’Electro aprì letteralmente uno squarcio nella visione della musica composta fino a quel momento e si inserì perfettamente in quell’estasi di positivismo tecnologico che rappresentavano quegli anni, ma, a conti fatti, è riuscita a superare anche la sconfitta di quell’ingenuità tecnologica diventando a volte agente provocatore ed a volte scintilla di nuovi slanci verso un futuro magari incerto, ma pur sempre da scrivere. Possiamo dire che assieme al beat dell’house, per anni sfruttato a livello mainstream per remix anche improbabili, l’Electro nella sua essenza e sintesi fra senso di futuro ed emozione sia ancora fra noi indicandoci, anche nelle sue espressioni più decadenti, la strada che possiamo percorrere e soprattutto che la tecnologia deve essere un alleato del cambiamento. Lo sanno bene ad Atlanta e Kampala oggi, come lo sapevano bene a New York, Detroit, Miami e Los Angeles quarant’anni fa.

Electro Old School

https://www.mixcloud.com/widget/iframe/?feed=https%3A%2F%2Fwww.mixcloud.com%2Fandreabenedetti5855%2Felectro-old-school-19831987%2F&hide_cover=1

Electrofunk old school